DESCRIZIONE DELL’AFFRESCO
ELEMENTI AULICI
ELEMENTI PROVINCIALI
ELEMENTI LATINI


DESCRIZIONE DELL’AFFRESCO

Gesù Cristo è al centro dell’immagine sulla croce, piantata su una sporgenza rocciosa del Golgota; la Madonna e san Giovanni sono al suo fianco, in basso, l’una a sinistra, l’altro a destra. Tra le figure in primo piano s’interpongono due personaggi, uno è san Longino (a sinistra), l’altro è un carnefice non meglio identificato. Gesù Cristo è raffigurato come un uomo appena entrato nella maturità degli anni, con barba, baffi e capelli lunghi. È ritto sullo strumento della sua pena, di cui ne ricalca perfettamente la struttura con il corpo, rigidamente teso nel senso dell’altezza, con le braccia distese orizzontalmente a coprire quasi per intero l’asse trasversale. Il volto è leggermente reclinato verso sinistra, il capo è coronato dal nimbo circolare che si articola geometricamente con il cartiglio dell’iscrizione I.N.R.I. Indossa il colobium, una tunica lunga fino ai piedi a maniche molto corte o del tutto assenti, indumento tipico dei primi monaci. La Madonna è totalmente avvolta nel suo mantello blu, solo il volto è scoperto; san Giovanni indossa una tunica clavata, è ammantato da una toga arancio e stringe nel braccio sinistro il Vangelo; Longino e il carnefice indossano una tunica corta, una verde, l’altra rossa. Longino è còlto nell’atto di infilzare la punta della sua lancia nel costato di Gesù, l’altro aguzzino nell’atto di porgergli una spugna imbevuta d’aceto. L’episodio è ambientato su uno sfondo montagnoso, formato da due bastioni rocciosi che fungono da quinta prospettica, la qual cosa da all’intera immagine il carattere di una rappresentazione teatrale: infatti l’evento sembra essere come rievocato su un palcoscenico.

ELEMENTI AULICI

Passando all’analisi stilistica, all’arte bizantina si rifanno alcuni elementi linguistici tipici tra cui, primo fra tutti, l’irrazionalità spaziale, qui ancora ben salda. Si guardi a tal proposito i due aguzzini, i quali stando alla logica prospettica si dovrebbero trovare, come sembra che stiano, alle spalle della croce, mentre a giudicare dal gesto che compiono dovrebbero stare davanti al corpo di Gesù, o tutt’al più di fianco, mentre Gesù Cristo è visibilmente avanti e gli aguzzini visibilmente indietro. Una tale situazione spaziale è possibile solo in una condizione di irrelatività prospettica, come spesso avviene nell’arte aulica. Un’altra osservazione riguarda la questione dell’assenza di appoggio: infatti le due figure sembrano sospese. Gli stessi appunti valgono per la Madonna. È chiaro che il suo sguardo è rivolto ad incontrare quello di Gesù, ma stando alla collocazione dei piedi e al posizionamento dei cunei di sostegno del patibolo risulta che la madre di Dio si trovi dietro la croce, e non davanti o tutt’al più a fianco.
Altro elemento di ascendenza orientale è la sproporzionalità fra le singole figure. Tra Gesù, la Madonna e san Giovanni si nota una certa differenza di dimensioni, spiegabile col fatto che il Redentore si trova leggermente avanzato rispetto agli altri due personaggi. Ma tra questi ultimi e i carnefici non c’è una distanza tale da giustificare la diversità di dimensioni riportata nell’affresco. La spiegazione di quest’altra anomalia risiede nell’adozione di una proporzionalità riferibile non ad una scala di grandezze prospettiche, ma ad una scala di grandezze gerarchiche rapportata all’importanza della carica rivestita dal personaggio raffigurato, vale a dire nel ricorso ad una dimensionalità di tipo simbolico: cosa non certo nuova nella storia dell’arte.
Fin qui gli elementi stilistici riconducibili alla cultura bizantina in generale. Passiamo ora a quelli riconducibili alla cultura provinciale greco-siriaca in particolare.

ELEMENTI PROVINCIALI

Sebbene la crocifissione sia un soggetto finalizzato alla contemplazione e alla meditazione, un classico tema da icona, in questo affresco il martirio viene presentato come un episodio della vicenda terrena di Cristo, un momento di sofferenza umana. Mentre l’arte bizantina aulica non ha interesse a rappresentare gli stati d’animo, ché la figura umana non deve tradire alcun sentimento in quanto piena del senso del divino, l’arte delle province segue una tendenza decisamente più incline al rilevamento delle condizioni psicologiche naturali dei personaggi. E se il Cristo, mezzo uomo e mezzo Dio, non tradisce alcun sentimento con quei suoi occhioni persi nel vuoto, non è così per la Madonna dove è possibile scorgere l’espressione di dolore nel suo gesto di rassegnata costernazione, così ben sottolineato dalle pieghe del mantello che, alla maniera greca, rendono chiaro il senso di partecipazione individuale al dramma che si sta compiendo. E questo rappresenta senz’altro una novità per l’arte bizantina, dove l’uomo è considerato poco più di un semplice strumento nelle mani del Signore, privo di una sua volontà, posto sulla Terra al solo scopo di realizzare il suo progetto di ordine divino nel mondo. Inoltre, al contrario degli artisti di corte bizantini, in questo affresco non ci si limita a trascendere l’evento nella traduzione simbolica della realtà divina; il passaggio dal dramma alla trascendenza viene vissuto attraverso il lavoro artistico, e questo non si rappresenta ma si esprime nel movimento tormentato della linea che fissa l’immagine e nella purezza dei colori che le danno sostanza. Dunque attraverso le linee di contorno si cerca il movimento dell’anima più che quello fisico, e il dramma non viene solo recitato dal soggetto raffigurato, ma sta anche nel modo di rappresentarlo, cioè nella pittura stessa. Un secondo elemento, questo della linea di contorno, di estrema importanza per il riconoscimento della corrente greco-siriaca dal punto di vista linguistico: non si tratta più di un mezzo utilizzato in senso intellettualistico, ma di un mezzo utilizzato per comunicare sentimenti.
Un terzo elemento è che guardando più a fondo questo affresco si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad una nuova idea di trascendenza. Il colore è sempre il tramite attraverso cui la materia si sublima in luce, ma qui non c’è vibrazione quanto piuttosto fissità. Dunque la luce non annulla la sensazione di corporeità fisica delle cose rendendole mobili, indefinite; viceversa tende a bloccarle, delimitarle. La luce che da esse proviene più che renderle fluttuanti, come se fossero immerse in una sostanza spaziale dalla densità impalpabile, le fa risaltare come in una vetrata gotica. In questo ambito, la linea viene impiegata come mezzo di contenimento e definizione delle masse cromatiche. Nella corrente greco-siriaca il simbolo più che sublimarsi in immagine aspira a sublimarsi in concetto dunque, più che trasmutarsi in luce mira a trasmutarsi in forma, più che in vibrazione di colori in contrappunto cromatico. Si creano così le premesse per dare il senso di uno spazio più concreto, più vicino a quello dell’esperienza umana.

ELEMENTI LATINI

Passiamo ora ad analizzare gli elementi d’ispirazione latina.
Questi sono, ad esempio, il movimento drammatico, impresso dai due aguzzini alla scena attraverso i loro gesti; la volontà esplicita di rapportare la vicenda narrata ad un tempo ed ad uno spazio storicamente e razionalmente determinati attraverso l’ambientazione dell’episodio in una quinta naturale prospetticamente individuata; l’interpretazione della luce in senso tonale, ovvero la presenza del chiaroscuro cromatico in alcuni particolari; quindi la volontà di ricondurre il trascendente al comprensibile: il significato di ciò che viene rappresentato sta lì davanti agli occhi di tutti, non ci sono nodi da sciogliere, né “ambiguità” di difficile interpretazione.
Altro elemento da non trascurare il ruolo giocato dalla tecnica nell’opera di popolarizzazione del linguaggio bizantino: usando l’affresco al posto del mosaico l’effetto delle gamme assume caratteri completamente diversi. L’intera composizione non risulta fondata su un’orditura di piccoli tasselli colorati che destrutturano l’immagine naturale, ma è organizzata in ampie superfici dipinte, delimitate da spesse linee di contorno che, al contrario, la strutturano in modo quanto mai perentorio. Le tinte, brillanti e assorbenti, si distendono piatte con lievissime sfumature: c’è nelle zone non delimitate dai contorni scuri una tenuissima variazione nella mistura dei colori, appena percettibile; ci si serve dei colori primari per rendere la percezione dello spazio più apprezzabile attraverso la contrapposizione cromatica che non mediante il luccichio delle luci. Dominano la composizione i rossi, i gialli e i blu. Probabilmente il cielo, sullo sfondo (oggi perduto), era azzurro, non oro: e questo per avvicinare maggiormente il mondo ultraterreno a quello terreno. Porpora, come da tradizione, è invece il colobium di Gesù: ma si tratta di un porpora assorbente, non riflettente.
Sulle ragioni che, in questo lavoro ed altri dello stesso genere, dello stesso edificio, hanno portato la committenza a dirottare la scelta linguistica e tecnica sull’arte provinciale e sull’affresco non sembra ci siano dubbi: Giovanni VII l’ha voluto proprio così, in linea con la politica culturale della Chiesa di questo momento storico particolare. Non è invece sostenibile l’ipotesi che ne tenta una spiegazione molto più pratica e cioè: essendo questa immagine destinata ad un luogo di raccoglimento privato, e non pubblico, non si poteva contare sulla stessa disponibilità di mezzi riservata alle immagini dirette alla collettività. È pur vero che l’affresco è senz’altro una tecnica meno costosa rispetto al mosaico, si serve di colori disciolti nell’acqua e applicati sull’intonaco fresco, i tempi di esecuzione sono brevissimi, devono rispettare quelli di tiratura della calce e pertanto non ci si può dilungare in particolari decorativi o artifici; ma non bisogna dimenticare che si tratta pur sempre della cappella privata del papa.
Ignoto è l’autore di questo affresco e, a giudicare dagli stili, neanche è certo che sia solo uno, potrebbero essere benissimo due o tre maestri provenienti da aree diverse.