IL FUTURISMO, PRIMO MOVIMENTO D’AVANGUARDIA ITALIANO
I PROTAGONISTI DEL FUTURISMO: BOCCIONI
FUTURBALLA
RUSSOLO, SEVERINI, PRAMPOLINI, DEPERO
GERARDO DOTTORI
ARCHITETTURA FUTURISTA: ANTONIO SANT’ELIA
AVANGUARDIA RUSSA: ARTE E RIVOLUZIONE
IL RAGGISMO
IL SUPREMATISMO
COSTRUTTIVISMO
IL MANIFESTO REALISTA
PRODUTTIVISMO
IL FUTURISMO, PRIMO MOVIMENTO D’AVANGUARDIA ITALIANO
New York, Collezione privata
Umberto Boccioni
STATI D’ANIMO n.1: GLI ADII (1911)
Olio su tela, altezza cm. 71 – larghezza cm. 94
Tra il coro di critiche che si levano in direzione del Cubismo c’è anche quello dei futuristi, l’unico movimento italiano moderno a diventare importante a livello europeo. Le accuse sono uguali a quelle che negli stessi anni gli muovono artisti quali Robert Delaunay (1885-1941) e Marcel Duchamp (1887-1968), francesi, Michail Larionov (1881-1964) e Natalja Gončarova (1881-1862), russi, fondatori del Raggismo, il futurismo russo. Cioè si imputa al Cubismo un carattere troppo razionale, troppo cartesiano, ma soprattutto troppo statico: insomma non è abbastanza rivoluzionario.
Il Cubismo prende a soggetto delle sue esperienze nature morte; oggetto dell’esperienza futurista è il movimento. Il procedimento cubista analizza una realtà immobile da un punto di vista mobile in modo da riprenderla da diverse angolazioni, spesso ridotte alle tre disposte sulle direttrici ortogonali dei sistemi scientifici di proiezione; il procedimento futurista analizza una realtà mobile, quella della vita, lasciando che sia lei a muoversi intorno all’artista, fermo al suo posto di osservazione.
Il primo atto ufficiale della poetica futurista è il manifesto del Futurismo, redatto da Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) e pubblicato dal quotidiano parigino Le Figaro il 20 febbraio del 1909, quando non esiste ancora nessun movimento futurista. Il movimento futurista inizia ad essere una realtà operante poco più di un anno dopo, l’8 marzo 1910, con il manifesto della pittura futurista, firmato da Boccioni (1882-1916), Balla (1871-1958), Carrà (1881-1966), Russolo (1885-1947) e Severini (1883-1966). Fanno seguito, l’11 aprile dello stesso anno, il manifesto tecnico della pittura futurista, quindi, l’11 aprile del 1912, il manifesto tecnico della scultura futurista; e infine, nel 1914, il manifesto dell’architettura futurista. Il primo è pubblicato sulla rivista Poesia, l’ultimo sulla rivista Lacerba.
I PROTAGONISTI DEL FUTURISMO: BOCCIONI
Milano, Pinacoteca di Brera
Umberto Boccioni
AUTORITRATTO (1907/1908)
Olio su tela, altezza cm. 70 – larghezza cm. 100
Milano, Banca Commerciale
Umberto Boccioni
OFFICINA A PORTA ROMANA (1908)
Olio su tela, altezza cm. 75 – larghezza cm. 145
Boccioni è l’artista che meglio di ogni altro contribuisce a definire lo spirito futurista. A detta dei critici è anche uno dei maggiori artisti italiani del Novecento. Nasce a Reggio Calabria e muore a Verona, in ospedale, all’età di 34 anni, per una imbarazzante caduta da cavallo, e non, come avrebbe voluto, da eroe, in guerra, in quella stessa guerra alla quale partecipa con entusiasmo ritenendola fonte di purificazione, condividendo l’idea di un suo presunto potere benefico sull’umanità, ma che invece stronca la crescita spirituale di tanti colleghi impedendogli di approfondire le primitive intuizioni. Nel 1901 vive a Roma. Qui avviene il suo incontro con Severini e Balla; qui inizia il suo distacco dalla pittura tradizionale. Le sue esternazioni sono sempre fortemente polemiche, ma sono anche quelle che chiariscono meglio il suo pensiero. Ad esempio ritiene che sia un grave errore imparare l’arte attraverso le scuole perché trova «bestiale» guardare ciò che è stato ritenuto arte in altre epoche. Provocatoriamente afferma che è meglio apprendere il disegno da un cartellonista, dal momento che questi per mestiere si deve attenere a quelle che sono le idee correnti. Verso la fine del 1907 si trasferisce a Milano, una città moderna come la intende lui. Qui incontra Previati (1852-1920), venerato maestro divisionista. La tecnica lo colpisce e lo induce a fare quadri divisionisti, ma i soggetti sono tutt’altra cosa rispetto a quelli di Previati, ed anche da quelli di qualsiasi altro pittore divisionista. Dipinge periferie che si vanno riempiendo di palazzi stretti intorno alle fabbriche fumanti: è questa la realtà moderna, e questa per lui deve essere l’oggetto dell’arte.
Sono di questo periodo lavori come l’Autoritratto e Officina a Porta Romana del 1908, Il mattino dell’anno successivo. In questi olii ci sono già i principali motivi della poetica futurista. In Officina a Porta Romana dal pulviscolo dorato prende forma una fila di operai che si sta recando di buon mattino al lavoro; sullo sfondo ad attenderli c’è la fabbrica fumante. La strada taglia una campagna lottizzata che sta iniziando a trasformarsi in periferia urbana. Boccioni dunque trova poetico lo sfruttamento capitalistico nelle sue due forme principali: la catena di montaggio e la speculazione edilizia. Ma quel che vuole dire in questo quadro, come negli altri due, è tutt’altro. Il suo contenuto fondamentale è il lavoro come mezzo di trasformazione della natura, come elemento vitale della società moderna. Le prime tele futuriste presentano una struttura comune: l’orizzonte che si perde in lontananze atmosferiche, il punto di vista rialzato, il taglio dell’asse ottico in obliquo. Il motivo principale di queste scelte è impedire un’osservazione statica.
Nel febbraio del 1909 lancia il manifesto del Futurismo insieme a Marinetti. Subito dopo litiga con Marinetti e lancia i due manifesti della pittura futurista firmati da Carrà, Russolo, Balla e Severini: è il suo momento. Dipinge, scolpisce, scrive, anima, diffonde. I suoi attacchi alla cultura ufficiale in difesa della sperimentazione divisionista sono micidiali. Definisce gottose le accademie, ubriaconi i professori, responsabili del degrado dell’arte italiana.
New York, Museo d’Arte Moderna
Umberto Boccioni
LA CITTÀ CHE SALE (1910/1911)
Olio su tela, altezza mt. 1,99 – larghezza mt. 3,01
Il primo dipinto futurista arriva nel 1910: è La città che sale. Si tratta di un’intricata matassa di linee e tratteggi fatti col colore che provocano la sensazione di un moto vorticoso verso l’alto. Si riconoscono nel gorgo delle persone in basso a sinistra, due grandi cavalli al centro, palazzi in costruzione in alto a destra. Le figure non sono centrate ma si riversano nel quadro, come se la realtà stesse passando in quel preciso momento. L’opera può essere considerata l’esposizione in termini visivi delle tesi futuriste: la vita ci investe e ci trascina col suo irresistibile moto; non è possibile fissarla perché è fatta di un prima e di un poi collegati che è artificioso isolare in una piramide visiva come fa la scienza. L’occhio mette a fuoco solo una piccolissima parte della realtà; la visione non è nient’altro che l’azione dinamica che mette insieme tutte le piccole sensazioni. Il “quadro” non può far altro che ritagliare un frammento di questo moto cosmico che prosegue oltre i suoi limiti. La città che sale non è, come si può vedere chiaramente, la riproduzione di un’immagine percettiva della realtà ma la sua deformazione soggettiva, la visualizzazione di quello che l’artista sente agitarsi dentro, nella propria interiorità. Si tratta dunque di un modo di rapportarsi con la realtà oggettiva tipicamente espressionista, come d’altronde espressionisti sono l’uso dei colori primari accostati in modo violento e la dinamica delle linee.
Wuppertal, Museo Von der Heydt
Umberto Boccioni
VISIONI SIMULTANEE (1911/1912)
Olio su tela, altezza cm. 60,5 – larghezza cm. 60,5
Boccioni considera La città che sale un saggio di transizione. In Visioni simultanee c’è il futurismo compiutamente realizzato con le sue sovrapposizioni e compenetrazioni di immagini in movimento vorticoso, anche di cose statiche, perché il movimento non è solo nell’oggetto ma altresì nel soggetto che guarda. Se nel primo prevale una tendenza ancora espressionista nel secondo è evidente una suggestione cubista, ma della specie orfica non analitica.
Milano, Galleria d’Arte Moderna
Umberto Boccioni
STATI D’ANIMO: QUELLI CHE VANNO (PRIMA VERSIONE) (1911)
Olio su tela, altezza cm. 70 – larghezza cm. 95
Milano, Galleria d’Arte Moderna
Umberto Boccioni
STATI D’ANIMO: QUELLI CHE RESTANO (PRIMA VERSIONE) (1911)
Olio su tela, altezza cm. 71 – larghezza cm. 96
Espressionista o cubista che sia la pittura di Boccioni è una pittura che esprime stati d’animo. E semmai ci fossero dei dubbi Umberto stesso ci viene in soccorso a dirci che la deduzione è giusta intitolando Stati d’animo tutta una serie di tele realizzate a partire dal 1911.
Stati d’animo: quelli che vanno e Stati d’animo: quelli che restano non sono altro che linee oblique, il primo, e verticali, il secondo, che lasciano intravedere corpi, volti, città.
In Stati d’animo: gli addii si va decisamente affermando un senso plastico costruttivo dove si può leggere un più solidale avvicinamento al Cubismo, benché i futuristi lo ritengano superato.
Questa contraddizione non ci deve sorprendere più di tanto: il Futurismo è pieno di contraddizioni.
New York, Museo d’Arte Moderna
Umberto Boccioni
FORME UNICHE NELLA CONTINUITÀ DELLO SPAZIO (1913)
Bronzo, altezza mt. 1,10
Boccioni non è soltanto pittore, è anche scultore. Gli stessi motivi che caratterizzano la pittura vengono sviluppati in scultura: simultaneità di vedute, compenetrazione di piani, movimento e continuità dello spazio. L’opera che esprime meglio il pensiero futurista in scultura è Forme uniche nella continuità dello spazio. Si tratta di un bronzo che coglie un corpo umano in movimento. La figura nella sua unità spazio temporale è il risultato di un’operazione di sintesi fra più immagini, ognuna delle quali sconfina in quella che la precede e in quella che la segue. Per capire meglio l’operazione boccioniana si immagini di ritagliare i fotogrammi di una pellicola in cui si riprende un uomo che cammina, li si sovrapponga e se ne mettano in evidenza le superfici che si vengono a determinare. Avremo come risultato non dico la stessa figura, ma una figura con le stesse caratteristiche. È un’operazione affine a quella del Nu descendant un escalier di Duchamp, ma il prodotto finito procede oltre, arriva alla sintesi della dinamica della raffigurazione del movimento. È in sostanza il contrario dell’immagine cinematografica: li per ottenere il movimento si fa scorrere la pellicola dove ci sono fissate tante singole immagini, ognuna leggermente diversa dall’altra; in pittura e scultura, dove il movimento viene escluso a causa della loro stessa natura, il dinamismo si ottiene riunendo in unità immobile quello che in realtà scorre di continuo.
Ottenere il movimento nelle arti figurative è un vecchio problema. Molti artisti se lo sono posto, ma l’hanno risolto solo isolando un particolare momento dell’infinita serie di momenti che strutturano il tempo, cercando di indicare con i gesti il prima e il dopo. Nessuno secondo Boccioni è arrivato però a sintetizzarlo in una forma unica. L’unico che secondo lui lo ha fatto è stato Medardo Rosso (1858-1928), anche se nei limiti della sua tecnica e cultura. Infatti il bassorilievo obbliga a vedere l’oggetto sul solo piano frontale, mentre la cultura impressionista non contempla la costruzione per piani, né dunque il carattere universale dell’opera.
Nel 1915 Boccioni parte volontario per la guerra. Le sue ultime frequentazioni sono a Pallanza, sul Lago Maggiore. Qui è ospite del maestro Ferruccio Busoni (1866–1924), pianista e compositore. Qui in un clima culturalmente stimolante la sua arte ha degli sviluppi importanti, ma del tutto inaspettati. Come musicista il Busoni si colloca fra quelli che intendono mantenere una continuità storica col passato, senza recidere ogni legame con le generazioni precedenti. Queste idee a Umberto non gli scivolano addosso. Infatti nelle sue ultime opere, come nel ritratto proprio del Busoni ritroviamo una certa staticità monumentale e un ritorno alla strutturalità cezanniana.
La morte ingloriosa coglie l’artista proiettato verso nuove esperienze creative. A quali risultati avrebbero approdato non lo sapremo mai.
Buffalo, Collezione privata
Giacomo Balla
DINAMISMO DI UN CANE AL GUINZAGLIO (1911)
Olio su tela, altezza cm. 91 – larghezza cm. 100
Se Umberto Boccioni è il più significativo interprete del Futurismo, Giacomo Balla è senza dubbio il più estroso. È lui il primo dei futuristi a spingersi nell’astrattismo, dunque il primo astrattista italiano per scelta. Giacomo Balla è torinese, vive e lavora a Roma dove muore all’età di 84 anni. Inizialmente è un eccellente verista, quindi passa al divisionismo e di qui approda al futurismo. La sua adesione è profonda, tanto da firmarsi Futurballa. Dal punto di vista storico si colloca fra coloro i quali portano più a fondo la ricerca dell’espressione della continuità del movimento sulla superficie pittorica. Nel Dinamismo di un cane al guinzaglio e nelle Mani del violinista Giacomo, ispirandosi molto probabilmente al metodo delle pellicole sovrapposte, perviene a risultati in cui il singolo oggetto (o parti di esso) appare raffigurato più volte in più sagome accavallate. In questi lavori sono già manifeste quelle che costituiscono le peculiarità distintive del suo stile: grande abilità tecnica, tenuità cromatica, immaterialità dell’immagine pittorica.
Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
Giacomo Balla
COMPENETRAZIONE IRIDESCENTE N. 2 (1912)
Acquerello su carta, altezza cm. 22 – larghezza cm. 18
Nel 1912 in Profondità dinamiche sfiora l’astrazione; in Compenetrazione iridescente la raggiunge pienamente. Più in particolare nella seconda opera ottiene la sensazione del dinamismo mediante il solo passaggio graduale fra un colore e l’altro: una straordinaria anticipazione di quella corrente che si chiamerà cinetica e programmata.
Nel 1918 Balla scrive il manifesto del colore dove afferma tutta l’importanza del mezzo cromatico per l’espressione del mondo interiore, negando la figuratività alle arti visive in quanto ritenuta priva d’interesse dal momento in cui esistono cinema e fotografia. Per il resto il manifesto risponde pienamente ai canoni futuristi dove si fa della forzata ideologia nazionalista utilizzando parole a volte volutamente tronfie e improprie.
RUSSOLO, SEVERINI, PRAMPOLINI, DEPERO
Parigi, Museo Nazionale d’Arte Moderna
Luigi Russolo
DINAMISMO DI UN’AUTOMOBILE (1912/1913)
Olio su tela, altezza mt. 1,04 – larghezza mt. 1,40
Fra i firmatari dei due manifesti della pittura del 1910 c’è Luigi Russolo. Luigi Russolo nasce a Portogruaro, vicino Venezia e muore a Cerro di Laveno, Varese, all’età di 62 anni. Oltre ad essere pittore è anche musicista. Come musicista inventa delle macchine che chiama “intonarumori” in cui i suoni si mischiano con i rumori a dimostrazione della sua idea che fra suono e rumore il confine è solo artificiale. Come pittore realizza poche opere, ma tutte molto importanti. La più nota è Dinamismo di un’automobile, in cui le linee di forza sono costituite da cunei che si fanno sempre più acuti man mano che l’oggetto penetra come un missile nell’aria. I colori sono tipici delle Fauves: rossi, gialli, blu; il tema è futurista: il mito della macchina e della velocità.
Cortona, Museo dell’Accademia Etrusca
Gino Severini
MATERNITÀ (1916)
Olio su tela, altezza cm. 92 – larghezza cm. 65
Gino Severini è forse il più raffinato del gruppo, ma anche il primo a tornare alla tradizione. Nasce a Cortona, in provincia di Arezzo e muore a Parigi a 83 anni. Lo distinguono dagli altri futuristi le gamme della sua tavolozza, più ricche di toni intermedi. Per lui l’oggetto non viene semplicemente sentito, ma viene riconosciuto a causa dell’influenza delle immagini memorizzate. Dopo le fulgide prove futuriste nel 1916 passa sul fronte anti-futurista, riallacciandosi all’antica tradizione toscana, come dimostra nel quadro intitolato Maternità.
Milano, Museo del Teatro alla Scala
Giacomo Balla
BOZZETTO PER “FEU D’ARTICE” DI IGOR STRAVINSKIJ (1915/1917)
Rovereto, Museo Depero
Fortunato Depero
IL MACCHINISMO BABELICO (BOZZETTO PER IL BALLETTO NEW BABEL) (1930)
Tempera su carta, altezza cm. 68 – larghezza cm. 102
Il Futurismo investe anche il teatro. Giacomo Balla nel 1916 per Fuochi d’artificio di Igor Stravinskij (1882-1971) progetta un movimento ritmico di luci. Enrico Prampolini (1894-1956) è il creatore di numerose scenografie rivoluzionarie così come Fortunato Depero (1892-1960), originale creatore di motivi decorativi per arazzi, provetto designer e raffinato colorista. Che il Futurismo si interessi di teatro è cosa che va da sé. Lo stesso Marinetti è all’avanguardia nel campo. Già parla di teatro globale, intendendo con ciò l’abolizione del palcoscenico come spazio privilegiato dove si svolge la vicenda. In seguito a ciò non ha neanche più senso lasciare in piedi la scenografia di fondo, che difatti viene abolita e sostituita da luci che, proiettate dai riflettori, interpretano la parola recitata con lo scopo di coinvolgere lo spettatore a livello psicologico.
Gerardo Dottori
ESPLOSIONE DI ROSSO SU VERDE (1910)
Olio su tela
Non si può fare un discorso sul Futurismo che si possa dire completo se ci si scorda di parlare di Gerardo Dottori (1884–1977) e dell’aeropittura. In virtù degli stessi suoi assunti l’arte futurista si presta bene ad essere esperita in varie forme e con vari mezzi. Come è già stato detto, motivo dominante è il movimento e il movimento può avere due origini distinte: possono essere le cose a muoversi intorno all’osservatore, o può essere l’osservatore a muoversi intorno alle cose. Il risultato non cambia, avremo sempre un’immagine che ci da il senso del divenire continuo e inarrestabile. l’aeropittura parte da questa seconda condizione. Il manifesto dell’aeropittura viene pubblicato nel 1929 nel corso del cosiddetto secondo futurismo. Nel documento si affermano tre principi fondamentali:
- la mutevolezza delle vedute, assolutamente inedite nella storia della pittura;
- la perennità del movimento che investe ogni elemento strutturale;
- la condivisione nonché identificazione del soggetto con la velocità del mezzo a cui è fisicamente legato.
Gerardo Dottori nasce a Perugia e ivi muore a 93 anni. È fra i firmatari del manifesto. All’uscita della dichiarazione d’intenti ha già alle spalle parecchie invenzioni. Nel 1910, cioè nello stesso anno in cui Kandinskij (1866-1944) dipinge il primo acquerello astratto, Dottori da vita ad un olietto intitolato Esplosione di rosso su verde, un saggio astratto in cui si sente il dispiegarsi di un moto che evoca l’irrompere delle saette nel cielo.
Gerardo Dottori
PRIMAVERA UMBRA (1923)
Perugia, Collezione privata
Gerardo Dottori
A 300 KM. SULLA CITTÀ (1934)
Tecnica mista su compensato, altezza mt. 1,20 – larghezza mt. 1,50
Nel 1923 dipinge Primavera umbra in cui sperimenta una veduta dall’alto, a volo d’uccello, del paesaggio umbro intorno al Trasimeno. In questo aerodipinto tutto ruota come in un vortice ciclonico intorno ad un punto centrale costituito dal lago. L’orizzonte è talmente alto da uscire quasi dalla superficie della tela; il cielo è presente, ma riflesso dalla superficie dello specchio d’acqua. Sono qui già tutti i caratteri fondamentali dell’aeropittura; caratteri che vanno maturando in A 300 km. sulla città. Qui, ancora più che nel precedente lavoro, si distinguono gli elementi tipici del linguaggio futurista; l’essenza e la velocità dell’aereo sono espressi dalle tre forme triangolari che si vanno sempre più acuendo verso il centro della composizione. Il senso della velocità è accentuato dalla diversa posizione delle case che si orientano radialmente rispetto all’aereo-vettore, dunque evocano la diversa inclinazione del raggio visivo di un osservatore che si trova a bordo di un aereo. Artista schivo e riservato, assolutamente diverso dal tipo canonico di artista futurista, residente in una piccola città, non è affatto un artefice di provincia, anzi rappresenta un punto di riferimento nella cultura d’avanguardia italiana del Novecento.
ARCHITETTURA FUTURISTA: ANTONIO SANT’ELIA
Collezione privata
Antonio Sant’Elia
LA CITTÀ NUOVA (1914)
Acquerello su carta, altezza cm. 45 – larghezza cm. 35
L’architettura futurista è rappresentata da Antonio Sant’Elia (1888-1916). Suo è il manifesto dell’architettura futurista, del 1914. Antonio Sant’Elia nasce a Como e muore in guerra a Monfalcone, in provincia di Gorizia a soli 28 anni. Della sua architettura abbiamo solo disegni; la guerra non gli permette di realizzarne alcuno. Tuttavia guardando proprio a loro ci rendiamo conto di quanto preveggente sia la sua intuizione. Nel manifesto si mostra acerrimo nemico dell’eclettismo. Propone un radicale cambiamento di rotta abolendo ogni monumentalità, ogni decorativismo inutile, progettando una nuova abitazione futurista. La nuova architettura deve scaturire da scelte scientifiche e tecniche.
La sua abitazione futurista è una macchina gigantesca, complessi sterminati multipiano in cui sono ben visibili le strutture di servizio come gli ascensori, che dovranno sostituire le scale. Nelle abitazioni tradizionali gli ascensori vengono nascosti come se ci si vergognasse di mostrarli in quanto meri mezzi tecnici. Per Sant’Elia questa concezione va rovesciata: la tecnica si deve esibire in tutta la sua evidenza funzionale (è la più remota formulazione dell’High Tech). L’abitazione futurista deve essere fatta di cemento, ferro e vetro. Le sue pareti non devono riportare fregi, né scolpiti né dipinti, debbono riportare soltanto la bellezza delle loro linee strutturali. Deve avere le dimensioni giuste, non quelle stabilite per legge. Le strade non devono passare ai lati degli isolati, ma dentro, sotto, sopra, secondo un sistema di livellamento che comprende anche passaggi pedonali mobili e fissi. Insomma un vero e proprio mostro tecnologico di ferro e cemento dove la natura è praticamente sparita.
C’è nell’immagine dell’abitazione futurista tutto l’abbaglio, ma anche la speranza, di un futuro migliore, radioso, fatto a misura d’uomo moderno, dove nuovo vuol dire migliore. Ci si vuole liberare del passato perché il passato è anche il vecchio, e il vecchio significa oppressione, zavorra che ostacola l’affermazione di nuove idee. Chissà se sarebbe stato della stessa idea oggi che il futuro non è più un’utopia ma una solida realtà.
AVANGUARDIA RUSSA: ARTE E RIVOLUZIONE
Parigi, Collezione privata
Michail Larionov
RAGGISMO ROSSO (1913)
Guazzo su cartone, altezza cm. 17 – larghezza cm. 33
L’Avanguardia russa rappresenta il primo tentativo di dimostrare a livello storico sociale che la ricerca linguistica fine a sé stessa è un agente attivo della rivoluzione. Per gli artisti russi che si trovano ad operare negli anni della rivoluzione socialista il problema principale è provare che l’astrattismo, operando intellettualmente sulla realtà, può essere altrettanto rivoluzionario del realismo e dell’espressionismo. Con il loro lavoro gli artisti russi più avanzati rappresentano anche la prova concreta che l’arte per l’arte e la rivoluzione permanente è possibile, anzi la migliore forma di rivoluzione permanente è la rivoluzione culturale permanente. La storia dimostra che sia la borghesia che il proletariato non gradiscono ne l’una ne l’altra.
Rivoluzione vuol dire sovvertire, rivoltare quel che c’era prima. In Russia, in arte imperano varie correnti ispirate ai movimenti europei, la maggior parte impostate su un solido impianto realistico. Dunque l’arte della nuova Russia, quella rivoluzionata, non può che essere astratta. Ecco perché negli anni che preparano l’abbattimento violento delle vecchie istituzioni proprio nella Russia zarista, la nazione più arretrata d’Europa, esplode, improvvisa l’avanguardia. Gli anni rivoluzionari sono anni di incredibile fecondità creativa che vedono sorgere opere dall’aspetto e dal messaggio ancora attuali.
Il primo movimento rivoluzionario russo è il Raggismo. Nasce intorno al 1910. Nel suo manifesto, pubblicato nel 1913, si fa esplicito riferimento alla natura astratta della pittura. Espressione e significato della forma pittorica è solo il risultato delle qualità intrinseche del colore: il livello dei suoi toni, le loro relazioni reciproche. L’obiettivo: creare un insieme che dia il senso del movimento. Come i futuristi, anche i raggisti pensano che la dimensione dell’essere moderno sia il movimento. Tutto in noi muta così come muta tutto quello che ci circonda; siamo oggi diversi da quello che eravamo ieri e che saremo domani; tutto è destinato a cambiare, nulla è eterno. I fondatori del Raggismo sono Michail Larionov e la sua collega compagna Natalja Gončarova.
Michail nasce a Tiraspol in Moldavia e muore a Fontenay-Aux-Roses, vicino Parigi a 83 anni. La sua compagna, nonché coetanea, nasce a Ladzymo e muore due anni prima di Michail, sempre a Parigi. Nel particolare del saggio intitolato Raggismo rosso c’è tutta la sostanza della corrente. Si tratta di un insieme di forme astratte dall’aspetto di punte di frecce incandescenti che si irradiano nello spazio intersecandosi e compenetrandosi l’un l’altra.
Leningrado, Museo Russo
Kazimir Malevič
QUADRATO NERO SU FONDO BIANCO (1913)
Olio su tela, altezza mt. 1,09 – larghezza mt. 1,09
New York, Museo d’Arte Moderna
Kazimir Malevič
QUADRATO BIANCO SU FONDO BIANCO (1918)
Olio su tela, altezza cm. 80 – larghezza cm. 80
La pittura di Mondrian è la sintesi di un percorso analitico percettivo finalizzato all’individuazione dell’essenza del mondo, la pittura di Kazimir Malevič (1878-1935) è la sintesi di un’intuizione nata da una riflessione sull’essenza della pittura.
Il “discorso” artistico di Malevič parte dalle icone russe. Queste in ultima analisi sono colore disteso su una tavola di legno, materia alla quale si attribuisce valore sacro. Tale entità fisica in Malevič si identifica con la sensibilità dell’artista; non rappresenta altro, non allude ad altro, fenomenizza gli strumenti mentali attraverso cui l’uomo compie l’esperienza del mondo; non è virtualità oggettiva, ma concreta realtà, non ha fini sociali e neanche estetici, è contenuto innato che si dà alla percezione dei sensi.
Malevič arriva all’astrattismo dopo Kandinskij, ma fa un passo avanti. Come per il conterraneo il dipingere non deve mirare a rappresentare qualcosa, ma esprimere qualcosa del soggetto operante.
La differenza sta nel fatto che in Vasilij Kandinskij il soggetto operante reagisce a stimoli esterni, mentre in Malevič il soggetto operante non reagisce, è ciò che dipinge, si identifica con le sue stesse strutture interpretative. Kandinskij usava tanti colori, Malevič sceglie un solo colore, il nero, una tinta che nei manuali di pittura è considerato un non colore, come il bianco; i colori hanno origine dalla percezione della luce, il nero e il bianco sono colori mentali. Prima di lui sulle tele c’era l’immagine di qualcosa, ora c’è la pittura. Come per Kandinskij il colore non è l’essenza della realtà percettiva, bensì l’essenza della realtà spirituale, ma questa non trae alimento dal mondo naturale, dipende dal contenuto specifico della propria coscienza.
Il pensiero artistico di Malevič si traduce storicamente nella fondazione del Suprematismo. Il Suprematismo è una tendenza in cui si vuole affermare la supremazia della pura sensibilità in arte.
Kazimir nasce a Kiev e muore a San Pietroburgo a 63 anni. Inizia sperimentando soluzioni cubiste e futuriste. Nel 1913 (o 1915) dipinge il celebre Quadrato nero su fondo bianco. Con questo saggio Kazimir spiega cosa vuol dire per lui suprematismo.
Il quadrato è una forma geometrica, la più perfetta. Come forma primaria ci appartiene, non dipende da alcuna esperienza precedente. Non essendo tratto dalla realtà può qualificarsi come puro contenitore della sensibilità umana. Il quadrato è altresì una forma stabile, equilibrata, armonica; il nero non è un colore, è l’assenza di colore. Ciò fa sì che nel quadrato nero viene meno qualsiasi possibilità evocativa, anche la più remota. Il quadrato nero diventa un soggetto spirituale dal momento che lo si carica di significati metafisici. A dimostrazione di quanto affermato, nel 1915, Malevič espone l’opera in una mostra a San Pietroburgo collocandola non su una parete come fa con tutti gli altri lavori, ma nell’angolo dove s’incontrano le due pareti, l’angolo che i russi chiamano l’angolo bello, l’angolo dove di solito nelle case si espongono le opere di devozione, le opere sacre, le icone.
Il bianco è l’opposto del nero. Se il nero è l’io, il bianco è il non io, il nulla. Nel 1918 Kazimir supera sé stesso dipingendo il Quadrato bianco su fondo bianco, dove tra l’io e il nulla c’è più soltanto una lieve linea di confine.
Con questa opera Malevič dimostra che non si può essere essenziali oltre l’essenziale, cioè arriva ad azzerare la pittura. Nei saggi che seguono l’artista si chiede cosa c’è dopo il raggiungimento del grado zero. La risposta è la deframmentazione dell’essenza. Così l’artista inizia a dipingere tele in cui compaiono forme geometriche elementari colorate con le tinte base, rosso, giallo, blu, verde, stese in modo piatto e uniforme.
Malevič è alla radice del monocromo, un modo tutto nuovo di concepire la pittura. Dopo di lui ci sono molti pittori, e ancora oggi, che si esprimeranno con un solo colore, come ad esempio Yves Klein che nel 1956/’57 arriva al punto di brevettare una tinta che chiamerà international Klein blu IKB 191.
Stoccolma, Moderna Museet
Vladimir Tatlin
MONUMENTO ALLA TERZA INTERNAZIONALE (MODELLO) (1919/1920)
Metallo e legno dipinto, altezza mt. 3 – diametro mt. 1,56
Il movimento costruttivista delle arti plastiche nasce in opposizione all’idea dell’arte per l’arte, pura, disinteressata espressione proposta dal Suprematismo. In questo ambito storico sorge l’avanguardia architettonica russa: il Costruttivismo. Il Costruttivismo architettonico mira ad esprimere nella forma degli elementi strutturali lo slancio dinamico della rivoluzione: in ciò risulta segnato da una forte componente espressionista. Molte delle sue soluzioni formali spregiudicate, dinamiche, fortemente emotive, le deve all’influenza che ha avuto su di esso l’esperienza teatrale. Questa tendenza ne costituisce anche il limite, infatti il più delle volte l’architettura si trasforma in scenografia rispondente ad esigenze ideologiche più che reali. Lo stesso discorso è applicato all’urbanistica, strumento che serve per rendere la città espressiva del dinamismo rivoluzionario con le forme degli edifici. Il massimo esponente del Costruttivismo architettonico è Vladimir Tatlin (1885-1953), un moscovita. Tatlin dedica l’intera esistenza alla sua Russia. Nel 1913 ventottenne si reca a Parigi e resta profondamente colpito dal Cubismo. Da quell’istante si mette a fare rilievi pittorici dimostrandosi subito non più sensibile al piano materiale che a quello virtuale. In seguito al clima rivoluzionario si convince che l’arte non può essere solo forma, ma deve avere anche una funzione sociale precisa. L’opera più importante di Tatlin è senz’altro il Monumento alla terza internazionale, una riedizione della torre Eiffel in terra russa, ma più dinamica, come quella dipinta da Delaunay. Non avendo mai visto la luce è possibile farsene un’idea dai disegni. In sostanza avrebbe dovuto contenere tutte le caratteristiche precipue del Costruttivismo. Si sarebbe trattato di un’opera astratta con un significato simbolico: la spirale inclinata avrebbe dovuto alludere all’ascesa del socialismo verso la conquista del potere. Ma sarebbe stata anche una costruzione funzionale. Infatti al suo interno si sarebbero dovuti trovare tre ambienti sovrapposti adibiti allo svolgimento di funzioni politico-sociali: in sostanza avrebbe dovuto essere una specie di traliccio attrezzato. Nel realizzarla si sarebbe dovuto cercare l’unità fra scultura, architettura e movimento concreto, ottenendo così ciò che a queste discipline è negato per via della loro stessa natura: sarebbe stata così la prima formulazione dell’arte cinetica. Al piano inferiore ci sarebbe dovuta stare una sala cubica per l’attività legislativa, al piano intermedio, piramidale, uno spazio per le riunioni degli organi amministrativi e esecutivi, a quello superiore, cilindrico, si sarebbero dovuti trovare gli uffici informativi. Tutti e tre gli ambienti avrebbero dovuto avere pareti trasparenti con chiara allusione alla trasparenza della politica. Infine ogni ambiente si sarebbe dovuto muovere nel vero senso della parola, tutti nella stessa direzione, secondo velocità diverse: per compiere un giro completo quello inferiore ci avrebbe dovuto mettere un anno, quello intermedio un mese, e quello superiore un giorno. L’altro interprete principale è Lazar Mordukhovič Lissitskij detto El Lissitskij (1890-1941). È il raccordo tra Suprematismo e Costruttivismo. La sua architettura si basa su tre postulati: forma geometrica; tecnica; dinamismo e simbolismo espressivo. La geometria esprime lo spirito razionalistico della rivoluzione; la tecnica che permette soluzioni formali audacissime (corpi a sbalzo, strutture in vista, meccanismo strutturale scoperto) riflette l’etica rivoluzionaria; il dinamismo e il simbolismo alludono alla società socialista che si autocostruisce.
Parigi, Museo Nazionale d’Arte Moderna
Anton Pevsner
COSTRUZIONE DINAMICA (1947)
Stagno ossidato su masonite, altezza cm. 96 – larghezza cm. 77
Londra, Galleria Marlborough of Fine Art
Naum Gabo (Naum Pevsner)
COSTRUZIONE NELLO SPAZIO. IL CRISTALLO (1937)
Perspex, altezza cm. 58 – larghezza cm. 57 – profondità cm. 46
Dallas, Texas, Nasher Sculpture Center
Naum Gabo (Naum Pevsner)
TESTA n. 2 (1916)
Acciaio inossidabile, altezza cm. 177,8 – larghezza cm. 137,8 – profondità cm. 121,9
Nel 1920 Naum Gabo (1890-1977) realizza un’opera costituita da un’asticciola metallica che mossa da un motore disegna forme e spazi virtuali. Il 5 agosto dello stesso anno, a Mosca, in occasione di una mostra con Gustav Klucis (1895–1938), pittore e fotografo rivoluzionario, viene pubblicato in forma di poster il manifesto realista, scritto di suo pugno e cofirmato dal fratello Anton Pevsner (1886-1962). Anton Pevsner e Naum Gabo nascono a Brjansk in Russia; Anton muore in esilio a Parigi all’età di 76 anni, mentre Naum muore a Waterbury, nel Connecticut, all’età di 87 anni.
Entrambi sono scultori (Pevsner è anche pittore), entrambi aderiscono al Costruttivismo con la prospettiva di superare Cubismo e Futurismo. La loro adesione al Costruttivismo tuttavia non è incondizionata: tutt’e due sono contro il funzionalismo sociale in arte dissentendo dall’indirizzo impresso da Tatlin al movimento; entrambi sostengono un costruttivismo puro, l’arte per l’arte, e le loro opere stanno a dimostrare a quale fede appartengono: l’Astrattismo. Ma una fede astratta che produce un manifesto realista è un controsenso. In effetti il realismo a cui i due fratelli alludono è quello dell’opera d’arte stessa che vuole essere un oggetto reale, concreto come sono reali lo spazio e il tempo, elementi concreti, comuni a tutti gli oggetti che compongono l’universo dell’esperienza visiva umana, ognuno dei quali è quello che è per avere una propria specifica funzione, e la specifica funzione dell’arte è procurare sensazioni, null’altro. Il loro realismo non va inteso dunque come imitazione del vero, ma va collegato alla pratica esecutiva che non tratta elementi astratti quali linee, piani, volumi, colori, bensì elementi concreti come lo spazio e il tempo reale. La loro originalità sta nella concezione della scultura pensata come creazione di spazi elementari in divenire. Entrambi i fratelli, pur nelle differenti personalità, sono per un astrattismo plastico fatto soprattutto di vuoti. Il pieno nella loro “scultura” si riduce spesso ad un telaio. Sia l’uno che l’altro utilizzano materiali trasparenti, prevalentemente vetro e plastica. Le opere di Gabo e Pevsner si presentano come vuoti disposti dinamicamente, individuati da forme primarie in crescita, modellati con materiali spesso trasparenti e ridotti alla minima quantità di massa.
Nel manifesto i due fratelli dichiarano che “La realizzazione delle nostre percezioni del mondo nelle forme dello spazio e del tempo è l’unico scopo della nostra arte pittorica e plastica”, mentre la scultura è l’unica attività “…in grado di utilizzare il vuoto e liberarci dalla massa compatta”.
La Testa n. 2 è un’opera sperimentale che rende molto bene il pensiero artistico dei fratelli Pevsner. Qui Naum Gabo rappresenta il volume di una figura privandolo della massa. La forma è ottenuta mediante lo svolgimento di piani lamellari, disposti ortogonalmente, plasmati con vigoria plastica da conferire loro il senso del movimento, come se si stessero aggregando magicamente in quell’istante. Le loro sculture sono animate da una sorta di dinamica interna. Partono da imput formali semplici e si sviluppano nello spazio-tempo in configurazioni sempre più complesse, fino a diventare delle vere e proprie forme intricate e contorte. Traslate sul piano meta empirico si può dire che creano una connessione tra materia, tattile, e spirito, intangibile.
Pevsner e Gabo, da costruttivisti, hanno una convinzione: credono nel potere della scultura astratta e nella sua capacità di esprimere l’esperienza umana e la spiritualità in sintonia con la modernità, il cui progresso sociale è tutt’uno col progresso della scienza e della tecnologia.
ALEXANDER RODČENKO
Lilya Brik (1924)
Manifesto
Contrariamente ai fratelli Pevsner, Aleksander Rodčenko (1891-1956) e sua moglie Varvara Stepanova (1894–1958) sono d’accordo con Tatlin: l’arte deve avere una funzione sociale ben precisa e non creare solo sensazioni al singolo osservatore. Per loro però, al contrario di quel che va sostenendo il Costruttivismo, questa funzione non è politica ma produttiva. Cioè l’arte deve cessare di essere arte e diventare tecnica al servizio della produzione industriale. In altre parole non deve essere speculazione intellettuale, ma pratica produttiva: siamo alla teorizzazione del design.
Passato il momento della rivoluzione arriva quello della ricostruzione della nuova Russia, l’Unione Sovietica: ai vecchi controllori si sostituiscono i nuovi. L’arte non è più libera, deve seguire anche lei il programma di edificazione della nuova società. Seguire, non creare. Con l’avvento di Stalin (1924-1953) l’arte la stabilisce il potere, non già l’artista che la fa; diventa un’arte di stato al servizio dell’ideologia politica, emanazione della nuova classe dirigente, sovrastruttura; viene decisa al vertice del potere. L’arte così si trasforma in propaganda politica.
S’impone uno stile realistico: Realismo socialista viene chiamato. Soggetti preferiti? Monumenti a contadini con la falce, operai col martello, soldati col fucile, donne rivoluzionarie. Finisce così nel più squallido accademismo una stagione strepitosa, folgorante, ricca di fermenti innovativi. Molti artisti che hanno dato vita alla rivoluzione artistica russa sono costretti ad espatriare; qualcuno rimane, ma si spegne soffocato dai meccanismi istituzionali. Nonostante l’epilogo, l’esperienza russa segna per sempre l’arte a venire. Molte delle idee espresse in questa brevissima stagione verranno riprese e approfondite in America e in Europa dando origine a molte delle più importanti correnti del secondo Novecento.