Il periodo storico in cui ha visto la luce il duomo di Modena è quello della corruzione della Chiesa a causa dell’istituzione dei vescovi-conti; è il periodo della lotta per le investiture; il periodo della prima crociata. È anche il periodo della famosa vicenda che pone di fronte Gregorio VII (1073-1085), Enrico IV (1056-1106) e Matilde di Canossa (1046-1115). Insomma un periodo alquanto caotico e violento. Si pensi che ci sono due papi; si comprano cariche spirituali; il clero si accompagna a mogli (degli altri) e amanti; si arriva addirittura a mettere le mani addosso al papa.
Nell’anno mille Modena si trova attanagliata fra due grandissimi latifondi, quello che fa capo al monastero di Nonantola, a nord, e quello che fa capo ai marchesi di Canossa, a sud. I pochi spazi liberi rimasti sono occupati da vassalli e valvassori; in città il potere è nelle mani dell’arcivescovo. Qui, sebbene non si respiri aria di fratellanza, uguaglianza e libertà per tutti, si sta comunque meglio che in campagna dove si è sottomessi al potere assoluto dei feudatari. Ad un certo punto contro il caos sociale, economico e morale, si iniziano a formare movimenti di protesta, a mano a mano sempre più accesi e agguerriti fino a trasformarsi in vere e proprie unioni di rivoltosi. A Milano si formano i Patarini, che significa straccioni, chiamati così per disprezzo dagli avversari; un movimento ereticale che inferocito scaccia in malo modo l’arcivescovo della città, simoniaco, mettendoci al suo posto Anselmo da Baggio, santo uomo che diventerà papa con il nome di Alessandro II (1061-1073). Questi movimenti non sono formati da straccioni, ma da cittadini ridotti in stracci; in mezzo a loro ci stanno anche monaci, stanchi e inorriditi dall’immoralità a dall’ostentazione di ricchezza del clero grasso. Il successo di Milano si ripercuote immediatamente in tutto il centro nord e arriva anche a Modena.
La città è retta da Eriberto, un arcivescovo in stretto rapporto con l’antipapa Clemente III (1080-1100): per questo Gregorio VII lo scomunica. Ma nonostante l’interdizione Eriberto resta in carica. La cittadinanza, che si trova un arcivescovo scomunicato, invece di cacciarlo lo lascia al suo posto. Il motivo è per calcolo politico. Il vuoto di potere causato dalla guerra in corso fra impero e papato apre inaspettati varchi per l’affermazione delle autonomie locali e il popolo scende in politica. Ne approfittano dunque i cittadini di Modena, tutti d’accordo, borghesi, militi e villici per estorcere al vescovo una firma su un falso diploma di concessione di diritti sull’intera città, il suo distretto e le acque: in altre parole il potere esecutivo e legislativo sull’intera città e territorio distrettuale, compresi i diritti sullo sfruttamento di un bene di prima necessità. Con questo stratagemma la città di Modena si trasforma in libero comune. Fondato che è il comune si pensa a darsi una nuova struttura e a mettersi subito all’opera. Nel frattempo Gregorio VII pensa al sostituto di Eriberto. Così arriva a Modena Benedetto. Ma il suo insediamento rovinerebbe la festa ai modenesi, i quali si guardano bene dall’osteggiare le ostinate resistenze di Eriberto a non lasciare la cattedra. Morto Eriberto, Benedetto non fa in tempo a mettersi a sedere che va subito a fare compagnia al suo predecessore nell’aldilà. Neanche il sostituto del sostituto, Dodone, ha vita facile e prenderà possesso della tribolata cattedra solo dopo che il papa Pasquale II (1099-1118) riconoscerà l’autonomia di Modena. Nel frattempo, tra tante cose storte, si dà inizio ai lavori del nuovo duomo.